Un forte senso di spaesamento coglie chi si pone dinnanzi all’opera di Erio Baracchi.
L’artista illustra i momenti del suo viaggio interiore: un “viaggio iniziatico” in cui il dipinto si pone quale “terra di mezzo” tra lo spirito e la materia, strumento privilegiato della vis speculativa attraverso cui cercare risposte a quesiti universali, metafisici, capace di soddisfare il desiderio di una personale comprensione perseguita con immota mobilità.
Un “transito”, un passaggio dall’uguale all’uguale per giungere al diverso, che ha condotto Baracchi, in anni di minuziosa ricerca e di minime progressive variazioni, a fondamentali rivolgimenti.
Da un iniziale universo interiore dominato dalla prospettiva accidentale, da toni cupi, spesso monocromi, dalla chiusura anche prospettica degli spazi, l’artista si catapulta all’esterno del quadro, percorre orizzonti inesplorati, osserva la realtà da inediti punti di vista, concependo avvenieristiche architetture dal cui sfondamento si dischiuderà un nuovo mondo.
Le sue creazioni, misteriosi ambienti architettonici sono finestre aperte su spazi enormi, cieli tersi, paesaggi infiniti e disabitati, o da cui si affacciano esili donnine in estatica contemplazione, orfane di qualsiasi racconto, icone di un mondo tangibile e al tempo stesso intangibile, illusorie e deliranti come la loro cronica gemellanza.
Sono immagini ipnagogiche, rappresentazioni di un luogo altro, sospeso tra il sonno e la veglia, la vita e la morte, la luce e le tenebre, così come il paesaggio, ancora una volta un’operazione mentale, espressione di un mondo interiore inquietante, una nuova officina di interrogativi incapaci di quietare lo spirito, davanti al quale l’artista si pone come di fronte a un enigma: un bagliore sempre più intenso ed abbacinante verso cui Baracchi sta muovendo, e con lui le sue donnine che staccatesi timidamente dalle razionali certezze architettoniche si mostrano ora nel paesaggio al cospetto ed in sintonia con il principio originale.
Chiara Felicetti 2004
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